SUPERBONUS E CRISI EDILIZIA: LE IMPRESE CHE RESISTONO

Analisi di Bilancio

Data
24.08.2025

Autore
Matteo Rinaldi

Il Superbonus 110% ha lasciato un settore edilizio diviso tra fallimenti e imprese in equilibrio precario. Migliaia di aziende hanno chiuso, mentre quelle solide si trovano oggi con crediti fiscali bloccati, rating bancari in calo e cantieri rallentati. La vera differenza non è più tra chi ha usufruito del bonus e chi no, ma tra chi riorganizza numeri e governance e chi resta immobile fino alla liquidazione forzata.

COME LE IMPRESE POSSONO RIORGANIZZARSI O USCIRE DALLA CRISI

Il Superbonus 110% era stato concepito per rilanciare il settore edilizio. Secondo un’elaborazione di InfoCamere su dati del Registro delle Imprese per Il Sole 24 Ore, sono 10.924 le imprese nate dopo settembre 2020 e cessate tra il 2022 e il 2023, “molte nate dall’onda del Superbonus e in alcuni casi improvvisate” (fonte). In gran parte si trattava di micro-SRL senza capitale e senza dipendenti, costituite unicamente per intercettare l’incentivo. Alcune derivavano da precedenti fallimenti e sono state riaperte intestandole a familiari o prestanome, che hanno reso fragili le nuove società.

Parallelamente si è sviluppata una filiera di consulenti e intermediari della cessione dei crediti, privi di reale specializzazione, che hanno prosperato finché il meccanismo ha retto e sono poi scomparsi lasciando pratiche sospese e contenziosi.

La crescita artificiale, alimentata da crediti d’imposta e sconto in fattura, è crollata quando il legislatore ha introdotto limiti stringenti: obbligo di qualificazione SOA per lavori superiori a 516.000 € (D.L. 21/2022) e la stretta sulla cessione dei crediti e sullo sconto in fattura (D.L. 11/2023). La riduzione progressiva delle aliquote (110% → 90% → 70% → 65%) ha completato il quadro, eliminando chi non aveva basi reali.

Secondo ANCE e ISTAT, nel 2024 gli investimenti privati in recupero abitativo sono diminuiti del 22%, mentre la nuova edilizia residenziale ha segnato un -5,2%. È un crollo che non riguarda solo le imprese nate sull’onda del bonus, ma che ha colpito anche operatori strutturati, con cantieri avviati e personale assunto. La crisi edilizia non è un fenomeno passeggero ma un cambio di paradigma che ha messo sotto pressione l’intero settore.

Per gli imprenditori che guidano aziende solide la questione è ormai inevitabile: restare immobili significa diventare il prossimo numero delle statistiche; agire invece significa decidere se riorganizzare la società, avviare una liquidazione volontaria ordinata o pianificare una ripartenza con nuova architettura societaria. È il punto di demarcazione tra chi subisce la crisi e chi sceglie di governarla.


IL RISCHIO PER LE IMPRESE STRUTTURATE

La fine del Superbonus ha colpito anche imprese con una base reale, dotate di dipendenti, cantieri avviati e bilanci regolarmente depositati. Nei loro conti i crediti fiscali legati agli incentivi compaiono come attivi, ma le restrizioni alla cessione e allo sconto in fattura hanno impedito di trasformarli in liquidità. Sono poste che generano risultati solo contabili, senza produrre cassa, compromettendo la capacità di sostenere stipendi, fornitori e oneri finanziari.

Il sistema bancario ha reagito immediatamente: secondo Cerved oltre il 40% delle imprese edili di piccola e media dimensione ha visto peggiorare il rating negli ultimi due anni, con affidamenti ridotti, condizioni più onerose e richieste di garanzie personali. Gli istituti non considerano più solido un bilancio basato su crediti incagliati, e la percezione di rischio accelera l’erosione di credibilità e patrimonio.

Per aziende con costi fissi elevati e commesse rallentate, l’assenza di diversificazione rende concreto il rischio di scivolare verso procedure concorsuali o liquidazioni forzate. La vera linea di confine non è più tra imprese nate con il bonus e operatori consolidati, ma tra chi rivede la propria architettura societaria e chi resta ancorato a modelli ormai insostenibili.


IL NODO DEI CREDITI FISCALI BLOCCATI

La questione dei crediti fiscali incagliati è oggi il problema più urgente per le imprese edili strutturate. Nei cassetti fiscali risultano bloccati circa 1,8 miliardi di euro, somme che non generano flussi e paralizzano pagamenti e cantieri. Senza interventi normativi, molte aziende sono costrette a cederli a intermediari con sconti superiori al 50%, trasformando un credito teorico in una perdita effettiva.

Sul fronte istituzionale, ABI e ANCE hanno chiesto di autorizzare le banche a compensare direttamente tramite F24 (Consiglio Nazionale degli Ingegneri). La proposta è rimasta in sospeso, mentre l’ANCE stima che ogni miliardo bloccato congeli circa 6.000 cantieri, con un effetto domino sull’intera filiera.

Il tema è anche giuridico. Federcontribuenti ha avviato una class action contro Poste Italiane per il blocco delle piattaforme di cessione, mentre la Corte dei Conti ha sollevato dubbi sulla corretta rappresentazione dei crediti nei bilanci. Considerarli esigibili espone gli amministratori a contestazioni per false comunicazioni e responsabilità erariali.

Ad oggi l’unico strumento resta l’istanza individuale all’Agenzia delle Entrate, priva di tempi certi e di esito garantito. Ciò dimostra che i crediti fiscali incagliati non sono solo un tema fiscale, ma un fattore che incide su affidabilità bancaria, continuità operativa e reputazione aziendale.


IMPATTO SUGLI IMPRENDITORI E SUL PATRIMONIO PERSONALE

La crisi edilizia non si ferma ai bilanci societari: investe direttamente gli imprenditori. Molti hanno sottoscritto fideiussioni personali a garanzia di mutui, linee di credito e leasing. Quando la società non onora i debiti, le banche escutono il garante, trasferendo il rischio su immobili e beni privati. Le esposizioni fiscali irrisolte generano ipoteche e pignoramenti, colpendo l’intero nucleo familiare.

Le pronunce della Cassazione (sent. n. 8921/2024 e n. 10312/2025) hanno chiarito che l’amministratore che mantiene crediti fiscali non esigibili in bilancio risponde civilmente ed erarialmente per false comunicazioni e danno ai creditori. L’inerzia non è quindi solo un rischio patrimoniale, ma un pericolo di responsabilità diretta.

Chi oggi guida un’impresa edile non può più distinguere tra azienda e persona: il sistema bancario e il Fisco colpiscono entrambi i piani senza separazione. Ignorare la questione significa trasferire la crisi d’impresa nella sfera personale, con effetti irreversibili su patrimonio e famiglia.


LE TRE STRADE POSSIBILI OGGI

Per le imprese con contratti attivi e prospettive concrete, la prima via è la ristrutturazione societaria. Significa ridurre i rami improduttivi, separare attività operative da quelle patrimoniali, trasferire immobili e partecipazioni in veicoli dedicati, rafforzare il capitale con conferimenti o aumenti, costituire una holding che assicuri bilanci trasparenti e più leggibili per banche e fornitori. In questo modo si isolano i rischi, si difende la liquidità e si mantiene la continuità aziendale, anche in presenza di crediti fiscali incagliati.

Per chi non ha più margini, l’alternativa è la liquidazione volontaria. Agire in anticipo, prima che siano banche o tribunali a imporre la chiusura, consente di salvaguardare il valore residuo, preservare i rapporti con i creditori, ridurre i contenziosi e distribuire gli asset in modo controllato. Una liquidazione gestita con metodo non equivale a un fallimento, ma a una chiusura ordinata che tutela reputazione e possibilità di ripartenza futura.

La terza strada è la ripartenza con nuova architettura societaria. Non si tratta di azzerare, ma di trasferire competenze, personale e rapporti commerciali in un veicolo nuovo, dotato di capitale reale, governance chiara e clausole blindate. In questo modo gli asset sani vengono protetti, mentre i passivi compromessi restano fuori.

Tutte e tre le soluzioni richiedono decisioni rapide: rinviare significa perdere la possibilità di scegliere. La valutazione corretta è numerica e patrimoniale, ed è ciò che apre al nodo successivo: governare bilanci, rating e struttura per affrontare la crisi in modo ordinato.


NUMERI E GOVERNO DELLA CRISI

La crisi post-Superbonus ha dimostrato che la sopravvivenza delle imprese non dipende dai cantieri aperti, ma dalla qualità dei numeri in bilancio. I bilanci abbreviati, privi di nota integrativa e indicatori finanziari, non sono più accettati da banche e partner. Oggi gli istituti valutano EBITDA, DSCR prospettico, posizione finanziaria netta e natura dei crediti fiscali, distinguendo tra poste realmente esigibili e crediti incagliati.

Le imprese che non depositano un bilancio ordinario completo vedono il rating bancario peggiorare e l’accesso al credito restringersi. Il problema riguarda anche la governance: statuti standard, amministratori senza deleghe chiare e assenza di una holding di coordinamento generano diffidenza. Al contrario, strutture con separazione tra patrimonio operativo e immobiliare, regole opponibili di veto e prelazione e governance blindata sono percepite come affidabili da banche e Centrale Rischi MCC.

L’intervento necessario si articola su due piani. Da un lato il riequilibrio numerico: riclassificazione dei bilanci in forma ordinaria, rafforzamento delle riserve, riduzione delle esposizioni a breve e corretta rappresentazione dei crediti fiscali. Dall’altro il riequilibrio societario: statuti aggiornati, governance trasparente, ruoli ben definiti e, se opportuno, costituzione di una holding che funga da garante esterno.

La combinazione di numeri solidi e architettura societaria consente non solo di preservare la continuità, ma anche di migliorare rating e affidamenti, condizione indispensabile per accedere a opportunità come gli appalti PNRR. Chi trascura questi aspetti va incontro a una traiettoria di erosione della credibilità, mentre chi governa bilanci e struttura trasforma la crisi in occasione di consolidamento. È la differenza che decide chi rimane bancabile e chi viene escluso dal mercato.


APPALTI PUBBLICI E PNRR

Il crollo del mercato privato non ha chiuso le prospettive del settore, ma ha spostato il baricentro sugli appalti pubblici. Nel 2024 il valore complessivo dei bandi ha superato i 90 miliardi di euro (MIT–ANAC), trainato da edilizia scolastica, rigenerazione urbana, efficientamento energetico e infrastrutture PNRR. Nei prossimi anni questo flusso continuerà, ma l’accesso sarà riservato solo a chi possiede bilanci ordinari certificati, governance blindata e requisiti SOA.

A differenza del Superbonus, che ha favorito società improvvisate, i bandi pubblici richiedono capitale reale, regolarità fiscale e capacità di anticipare cauzioni e flussi. Per le PMI edili la scelta è netta: restare su un mercato privato depresso o investire in un’architettura societaria capace di reggere i requisiti pubblici. Una singola SRL difficilmente ha dimensioni adeguate; un gruppo con holding di controllo, società patrimoniali e operative distinte trasmette invece solidità a banche ed enti appaltanti.

Il PNRR non è un incentivo “a pioggia”, ma un filtro selettivo. Solo chi integra numeri trasparenti, governance certificata e requisiti tecnici potrà competere. Per gli altri, la contrazione del privato e l’esclusione dal pubblico rappresentano un percorso certo verso la chiusura.


IL CASO DI CHI HA SCELTO LA RISTRUTTURAZIONE

Un’impresa edile di medie dimensioni, con oltre vent’anni di attività e una trentina di dipendenti, a fine 2023 si è trovata in una crisi improvvisa. In bilancio comparivano crediti fiscali incagliati per oltre 5 milioni di euro, linee bancarie sospese e fornitori sul punto di interrompere le consegne. L’utile apparente, generato da poste fiscali non monetizzabili, nascondeva una realtà di liquidità azzerata.

La prospettiva era la liquidazione forzata, con rischio di insolvenza a catena. La scelta è stata invece la ristrutturazione societaria. Gli immobili e le attrezzature sono stati trasferiti in una società patrimoniale separata, così da mettere in sicurezza i beni strategici. L’operatività è rimasta nella società principale, alleggerita dai vincoli patrimoniali.

È stata creata una Holding di coordinamento, incaricata di centralizzare i rapporti bancari e presentare una posizione consolidata, separata dall’impatto dei crediti bloccati. Parallelamente, il bilancio è stato riclassificato in forma ordinaria, eliminando poste non esigibili e rafforzando le riserve con nuovi conferimenti dei soci.

In meno di dodici mesi il rating è passato da B a BB+, consentendo la riapertura delle linee di credito per stipendi e cantieri. Sono stati introdotti controlli finanziari interni con reportistica trimestrale e budget di tesoreria, così da garantire trasparenza verso banche e stakeholder. Il risultato è stata la stabilizzazione: rapporti ripristinati con i fornitori, occupazione salvaguardata e accesso a gare PNRR di media entità.

Non è stato un ritorno immediato alla crescita, ma un salvataggio della continuità aziendale. Questo caso dimostra che la differenza, oggi, non è tra chi ha crediti fiscali in bilancio e chi no, ma tra chi resta paralizzato e chi ricostruisce un assetto nuovo, leggibile e sostenibile per il sistema bancario. È la linea di confine tra le imprese destinate a sparire e quelle che scelgono di restare.


CODICE DELLA CRISI E IMPRESE EDILI

Per le imprese edili i crediti fiscali incagliati non sono solo un problema di liquidità. Dal 2024 il Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche) ha introdotto obblighi di monitoraggio e allerta che espongono direttamente gli amministratori. Gli indici previsti – dal DSCR prospettico al rapporto tra debiti tributari e mezzi propri – intercettano subito le società con flussi bloccati da crediti non utilizzabili.

Il rischio concreto è l’apertura di una composizione negoziata presso l’OCRI, che scatta quando i bilanci evidenziano squilibri non corretti volontariamente. In quel caso non è più l’imprenditore a gestire la trattativa, ma gli organi esterni a imporre la negoziazione con banche e creditori. Ciò significa perdita di autonomia, compressione dei margini di manovra e pressione crescente su amministratori e soci.

Per il comparto edile il nodo è particolarmente rilevante. Le società che mantengono in bilancio crediti fiscali bloccati rischiano di essere classificate come in crisi irreversibile, perché quegli attivi non generano cassa. La riclassificazione porta a segnalazioni automatiche e alla richiesta di predisporre un piano attestato di risanamento o un accordo di ristrutturazione dei debiti. In assenza di soluzioni volontarie, la composizione negoziata può diventare il preludio a una liquidazione giudiziale.

L’imprenditore che non governa numeri e assetti societari si trova quindi in una posizione fragile: subisce il controllo degli organi esterni e perde la possibilità di scegliere la strada migliore per salvaguardare continuità e reputazione.

Agire prima significa mantenere la regia: ristrutturazione volontaria, liquidazione ordinata o ripartenza con una nuova architettura societaria. Attendere, invece, significa lasciare che siano banche e tribunali a decidere il destino dell’impresa.


APPROFOMDIMENTI

La stagione del Superbonus ha lasciato un settore spaccato: chi ha già chiuso e chi cerca di resistere. Gli oltre 11.000 fallimenti non sono un episodio, ma il segnale di una trasformazione irreversibile. Gli incentivi ridotti, i crediti fiscali bloccati e la diffidenza delle banche dimostrano che la sopravvivenza non dipende dai cantieri aperti, ma dalla capacità di governare numeri, bilanci e architettura societaria.

Le imprese che non intervengono finiscono nel radar del Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019 e ss.mm.), con segnalazioni automatiche agli OCRI. Un DSCR sotto 1, debiti fiscali superiori al patrimonio netto o squilibri patrimoniali persistenti fanno scattare l’allerta. Da quel momento il controllo passa a banche e tribunali, e l’imprenditore perde la regia. Ogni giorno di attesa riduce lo spazio di manovra.

Chi agisce prima mantiene il comando: può separare i rami improduttivi, rafforzare la patrimonializzazione, liquidare ordinatamente prima che la crisi esploda o ripartire con una nuova struttura che isoli i passivi. Non esistono soluzioni standard: ogni strategia nasce dai numeri reali e dalla capacità di renderla opponibile a fisco e creditori.

La scelta è netta: o governi il percorso, o sarà la crisi a governarti. Proteggere valore, reputazione e continuità significa decidere adesso, con regia tecnica e patrimoniale. Restare immobili equivale a consegnare l’impresa agli strumenti di allerta.

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