Data
26.07.2025
Matteo Rinaldi
SOCIETÀ SEMPLICE: SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE SUL FALLIMENTO DEI SOCI
Nel giugno 2025 la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 87/2025 (fonte ufficiale), ha annullato l’estensione del fallimento al socio di una Società Semplice mai convocato, per violazione del diritto di difesa.
La pronuncia ha ridefinito il perimetro della responsabilità dei soci della Società Semplice e il rapporto tra natura patrimoniale e rischio di fallimento, fissando nuovi criteri di valutazione per giudici e professionisti.
Per la prima volta, la Corte ha chiarito che la fallibilità della Società Semplice dipende da come viene concretamente gestita e non dalla forma giuridica dichiarata. Se il veicolo è usato come strumento operativo, può essere trattato come impresa, con possibile estensione del fallimento ai soci.
La decisione tocca direttamente le Società Semplici costituite come Holding familiari o immobiliari, oggi tra gli strumenti più diffusi nelle architetture patrimoniali, ma spesso prive di adeguata configurazione difensiva.
Molti imprenditori e famiglie, convinti di essere protetti, scoprono solo al primo accertamento o contenzioso che la loro Società Semplice non è inattaccabile, ma formalmente esposta.
La sentenza 87/2025 impone quindi una revisione profonda degli atti costitutivi esistenti e una progettazione tecnica per quelli futuri: serve chiarezza d’oggetto, distinzione di ruoli e piena tracciabilità.
Nei capitoli seguenti analizziamo perché la Società Semplice può fallire, come e quando i soci rispondono, e quali clausole statutarie rendono realmente blindato il patrimonio familiare.
SOCIETÀ SEMPLICE E FALLIMENTO: COSA CAMBIA DOPO LA SENTENZA N. 87/2025
La sentenza n. 87/2025 della Corte Costituzionale ha riaffermato un principio cruciale: la Società Semplice è protettiva solo se resta patrimoniale. Quando diventa operativa, anche indirettamente, può perdere la propria neutralità. La decisione ha duplice portata: conferma la fallibilità quando agisce come impresa e impone che i soci siano sempre messi in condizione di difendersi prima che l’estensione produca effetti. Il sistema di tutela è quindi sia strutturale (statuto e oggetto), sia procedurale (convocazione e contraddittorio).
Quando l’atto costitutivo o la prassi gestionale mostrano elementi anche marginali di attività commerciale, la società può essere trattata come impresa e il fallimento può estendersi ai soci. Conta la sostanza: oggetto, deleghe, limiti e finalità. Molti atti presentano oggetti generici e poteri gestori illimitati, privi di clausole che escludano l’operatività o impongano vincoli sulla destinazione dei beni.
In assenza di un confine netto tra proprietà familiare e gestione attiva, ogni iniziativa può essere riqualificata come attività d’impresa. Il giudice valuta la sostanza, non le intenzioni. Se la struttura risulta “operativa”, la responsabilità diventa illimitata anche per i soci non gestori, in applicazione dell’articolo 2267 del Codice civile. In tal caso il patrimonio personale torna aggredibile e la Società Semplice si svuota della sua funzione protettiva.
La vera tutela non nasce dal nome della forma giuridica, ma dalla progettazione statutaria e dal rispetto delle procedure: serve un atto che delimiti finalità, poteri e vincoli di destinazione, unito a una gestione trasparente e coerente. Solo così la struttura resta ciò che deve essere: una cassaforte patrimoniale inattaccabile, non un’impresa camuffata.
Lo stesso principio vale per la Società Semplice immobiliare o Holding familiare di mero godimento: se l’oggetto sociale è statico e le clausole vietano attività d’impresa, la struttura resta legittima, fiscalmente neutrale e opponibile.
RESPONSABILITÀ DEI SOCI DELLA SOCIETÀ SEMPLICE
La conseguenza più rilevante della sentenza n. 87/2025 riguarda la posizione dei soci: anche chi non partecipa alla gestione può essere coinvolto nelle obbligazioni sociali. La distinzione tra socio gestore e non gestore, se non è formalizzata e tracciabile, perde valore giuridico.
Chi non gestisce, non firma e si considera “solo intestatario” può comunque essere coinvolto. Il Codice civile non tutela l’inattività: in presenza di attività commerciale, la responsabilità si estende a tutti i soci, inclusi coloro che detengono quote di S.r.l. tramite una Società Semplice.
La sentenza n. 87/2025 conferma che, in assenza di netta separazione tra beni personali e sociali, con conti promiscui o uso familiare di immobili e partecipazioni senza autorizzazione formale, il giudice presume partecipazione materiale, coinvolgendo il socio nel fallimento o in azioni esecutive.
Responsabilità che non discende solo dalla gestione, ma dalla struttura giuridica dell’atto costitutivo. Se questo non distingue ruoli, non vieta l’operatività o non definisce poteri e deleghe, ogni socio può risultare corresponsabile, anche chi ha ereditato la quota o la detiene per ragioni familiari. Un’intestazione priva di blindature espone il patrimonio all’attacco e svuota la funzione di “cassaforte patrimoniale” che la Società Semplice dovrebbe garantire.
Confusione patrimoniale rappresenta uno dei rischi principali. Senza clausole di separazione, l’uso promiscuo di beni, conti e cespiti trasforma la società in veicolo di responsabilità personali.
Basta un bonifico errato, una fattura ambigua o un utilizzo familiare di immobili e partecipazioni per dimostrare una gestione di fatto.
La norma non richiede dolo, ma valuta effettività, tracciabilità e autonomia. Se l’atto è debole, il giudice non trova difese e il patrimonio personale viene colpito per obbligazioni mai deliberate ma tollerate.
ERRORI NEGLI ATTI DI SOCIETÀ SEMPLICE: CLAUSOLE CHE MANCANO SEMPRE
La maggior parte degli atti costitutivi di Società Semplice spesso derivano da modelli precompilati, privi delle clausole essenziali per evitare che la società venga qualificata come attività commerciale. Mancano un oggetto sociale chiuso, divieti all’amministratore, limiti alle deleghe e barriere tra patrimonio personale e sociale. A volte neppure la distinzione tra soci gestori e non è prevista. Tutto resta affidato all’interpretazione, e con un atto così debole la protezione è solo apparente.
Uno statuto standard espone i soci a rischi strutturali: il fisco può ricondurre qualsiasi operazione a un’attività economica, la Procura contestare l’uso improprio del veicolo e i creditori chiedere l’estensione patrimoniale in assenza di segregazione documentata. La Società Semplice diventa così un contenitore passivo, non una difesa efficace. Nessuna clausola vieta l’assunzione di incarichi, l’apertura di conti correnti o la gestione di partecipazioni in S.r.l. operative: attività che, se non espressamente escluse, possono essere considerate imprenditoriali.
Errore grave è credere che un atto firmato da un notaio o redatto da un commercialista garantisca validità e protezione. La legge tutela la sostanza, non la firma. La struttura giuridica deve riflettere la funzione patrimoniale, con clausole di esclusione dall’operatività, divieti formali, governance segregata e destinazione vincolata.
Chi ha già sottoscritto un atto di questo tipo dovrebbe rileggerlo con attenzione tecnica, soprattutto se la Società Semplice detiene partecipazioni o immobili di famiglia. Il problema non emerge alla firma, ma al primo attacco: verifica, accertamento o decreto esecutivo. Se il giudice non trova limiti chiari, la responsabilità ricade sul firmatario.
Da questi errori nasce la vera vulnerabilità: non è la forma giuridica a esporre, ma la mancanza di un impianto statutario capace di prevenire ogni riqualificazione. Ecco perché serve riscrivere l’atto secondo criteri tecnici e opponibili, come vediamo nel capitolo seguente.
COME SCRIVERE UN ATTO DI SOCIETÀ SEMPLICE INATTACCABILE
La protezione effettiva non dipende dalla forma giuridica, ma dal contenuto dell’atto costitutivo. Non esiste sicurezza automatica legata alla Società Semplice: se l’atto non impone limiti chiari, non distingue tra titolarità e gestione, non vieta attività economiche o non definisce clausole di controllo incrociato, ogni intestazione può diventare elusiva o inefficace.
Redigere un atto costitutivo di Società Semplice Holding familiare significa creare un impianto in cui ogni sezione – oggetto, deleghe, modalità operative, diritti speciali, successione – anticipa i punti di attacco e li neutralizza, nel pieno rispetto dell’articolo 2267 del Codice civile sulla responsabilità solidale dei soci.
L’oggetto sociale deve escludere in modo espresso ogni attività commerciale, gestionale, locativa o di intermediazione. Le finalità devono limitarsi a conservazione, protezione e trasmissione del patrimonio. I poteri gestori spettano solo a soggetti specifici, con tracciabilità documentale e meccanismi di revoca, veto e responsabilità.
Ogni ruolo deve essere assegnato con atto formale e clausole che impediscano commistione patrimoniale e amministrativa. L’atto deve prevedere vincoli sul trasferimento delle quote, diritto di accrescimento tra soci superstiti, esclusione di automatismi successori e regole per convocazione e ratifica degli eredi.
Quando la Società Semplice detiene partecipazioni in S.r.l. operative, il divieto di ingerenza gestionale deve risultare scritto. In mancanza, la struttura può essere riqualificata come attività d’impresa di fatto.
Senza un impianto costruito in questo modo, ogni Società Semplice resta esposta a estensione fallimentare o azioni esecutive, inefficace contro creditori, fisco o giudice delegato. Le strutture deboli richiedono revisione totale. Chi deve costituirla ha un’unica possibilità: farlo bene, dall’inizio, con un atto conforme al principio di effettività. Qui si gioca la difesa patrimoniale: non esiste seconda occasione.
CLAUSOLE STATUTARIE CHE BLINDANO DAVVERO IL PATRIMONIO
Clausole statutarie di una Società Semplice destinata alla detenzione di partecipazioni o beni familiari non possono essere affidate alla discrezionalità di notaio o commercialista. Devono avere finalità difensive, linguaggio preciso, struttura opponibile e contenuti pienamente blindati sul piano civilistico.
Senza vincoli chiari, ogni intestazione è fragile e inefficace. Non basta vietare genericamente l’attività d’impresa: vanno escluse in modo espresso tutte le attività commerciali, gestionali, finanziarie, produttive, locative, di intermediazione e di investimento attivo, anche non abituale.
L’oggetto sociale deve limitarsi alla conservazione, protezione e trasmissione del patrimonio familiare, in forma statica e non reddituale. Solo un atto costitutivo redatto in questo modo può resistere a una verifica fiscale o a un tentativo di estensione del fallimento ai soci.
Il secondo gruppo di clausole riguarda i poteri gestori e amministrativi: vanno attribuiti esclusivamente a soggetti determinati, con deleghe espresse, limiti temporali, diritto di revoca, responsabilità interna e veto sulle operazioni straordinarie. I soci non amministratori devono essere esclusi da qualsiasi facoltà gestoria, senza possibilità implicite di rappresentanza.
I rapporti patrimoniali devono risultare separati per statuto, con indicazione puntuale dei beni conferiti, modalità di gestione vincolata e tracciabilità delle operazioni. I conti correnti devono essere intestati alla società, con firma riservata ai soci gestori designati ex articolo 2257 c.c., vietando uso promiscuo o personale salvo procura deliberata all’unanimità.
Infine, servono clausole di trasferimento e successione che vietino la cessione a terzi, escludano eredi non autorizzati e impongano una perizia tecnico-patrimoniale per ogni donazione. Devono inoltre prevedere il diritto di accrescimento tra soci superstiti. La continuità familiare deve avvenire solo tramite ratifica espressa, con convocazione assembleare e accettazione documentata. Ogni automatismo successorio va escluso.
Un impianto di questo tipo dimostra – anche in sede giudiziaria – la separazione effettiva tra socio, bene e attività. Senza tali clausole, nessuna intestazione è realmente al sicuro, nemmeno la più datata o “dormiente”.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 87/2025, ha confermato che solo statuti chiusi, vincolati e coerenti con l’oggetto patrimoniale possono dimostrare in sede fiscale e giudiziaria l’assenza di attività d’impresa
COSA FARE ORA PER PROTEGGERE IL PATRIMONIO
La protezione patrimoniale non è teorica né rinviabile. Chi possiede immobili, partecipazioni o quote familiari – soprattutto chi ha trasferito le quote della propria S.r.l. a una Società Semplice familiare – è esposto a rischi concreti e non può affidarsi a soluzioni generiche o improvvisate. Le minacce arrivano senza preavviso: notifiche, revocatorie, accertamenti o azioni cautelari possono colpire in qualsiasi momento.
Un atto costitutivo non blindato o poco chiaro non proteggerà quando sarà tardi. Anche una clausola ambigua può aprire la strada a responsabilità personali o aggressioni patrimoniali. Non basta aver costituito una Società Semplice: conta come è stata scritta. Se mancano limiti precisi ai poteri gestori, separazione tra beni personali e sociali, governance trasparente e clausole anti-estensione patrimoniale, la protezione resta solo apparente. Alla contestazione prevale la sostanza dell’atto, non la forma.
Chi già detiene beni, anche senza contenzioso in corso, deve intervenire subito. Serve verificare oggetto sociale, poteri di rappresentanza, limiti e trasferibilità delle quote, accertando che esistano barriere reali all’estensione patrimoniale e, se assenti, procedere con una riscrittura tecnica dell’atto. Deve diventare strumento di difesa effettiva, non un mero adempimento notarile.
In questa fase la tempistica è decisiva: se la struttura non è opponibile ai terzi e coerente con le finalità di mero godimento previste dagli articoli 2249 e seguenti del Codice civile, ogni giorno di ritardo indebolisce la posizione e amplifica il rischio. Il patrimonio si protegge solo con un impianto giuridico solido, progettato prima dell’attacco. Dopo, ogni ritardo apre varchi e riduce la capacità difensiva.
La sentenza n. 87/2025 ha confermato che chi interviene prima dell’attacco protegge davvero il patrimonio, mentre chi attende lo espone inevitabilmente.
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CONCLUSIONI: SE HAI O NON HAI GIÀ UNA SOCIETÀ SEMPLICE, OGGI NON PUÒ ESSERE GENERICA
La protezione patrimoniale non è teoria né scelta rinviabile. Se possiedi un patrimonio, un’intestazione societaria o un atto già costituito, la verifica deve essere immediata. Gran parte delle Società Semplici manca di difese: oggetti sociali aperti, clausole vaghe, assenza di limiti gestori e di barriere tra soci e beni. In caso di verifica, revocatoria o azione della Procura, il dato formale non basta a tutelare.
Il problema non è avere una società, ma averne una inadeguata. Gli atti standard, redatti senza coordinamento tecnico con la struttura patrimoniale familiare, espongono a rischi esecutivi e a inefficacia dell’atto. Il tempo gioca contro: ogni mese consolida abitudini e indebolisce le difese. La legge non concede seconde occasioni: l’atto deve essere inattaccabile prima dell’evento, non corretto dopo.
Chi non ha ancora una Società Semplice deve costruirla correttamente: atto opponibile, oggetto chiuso, poteri limitati, ruoli separati e clausole successorie effettive. Chi già la possiede deve verificarla subito. La differenza tra tutela e vulnerabilità si gioca prima dell’attacco, non dopo.
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